SAPEVI CHE...?

La mia parte intollerante: facciamo chiarezza sulle intolleranze alimentari!

Parte 1: strumenti utili per riconoscere i test inutili

“Ho scoperto di essere intollerante a…”

Ognuno di noi sicuramente ha sentito pronunciare o ha pronunciato questa frase almeno una volta negli ultimi anni, ma davvero le intolleranze sono così numerose e diffuse? Inoltre, quali test per le intolleranze sono realmente utili?

In questa serie di articoli proveremo a fare un po’ di chiarezza in materia di intolleranze, allergie e tecniche diagnostiche scientificamente validate.

Iniziamo col definire, quindi, la differenza tra intolleranza e allergia alimentare: l’intolleranza è una reazione avversa dell’organismo a un determinato alimento che non vede come protagonista il sistema immunitario, al contrario dell’allergia mediata da anticorpi diretti contro uno specifico allergene presente in un determinato alimento.

I sintomi con cui si manifestano infatti sono diversi e di diversa entità, basti pensare che l’ingestione di un alimento a cui si è allergici può portare fino allo shock anafilattico mentre ingerire grandi quantità di lattosio, se ne siamo intolleranti, di certo non avrà conseguenze tanto negative.

I test per la diagnosi delle allergie, prick test e RAST (Radio-Allergo-Sorbent-Test), vengono prescritti dal medico a seguito del riferimento di determinati sintomi che coinvolgono direttamente l’apparato gastrointestinale (dolori addominali diffusi, flatulenza, stipsi, diarrea) e sedi extraintestinali (orticaria, dermatite atopica, asma, anche se meno comune).

Le intolleranze alimentari, come precedentemente accennato, non sono mediate dal sistema immunitario e attualmente le uniche diagnosticabili con test scientificamente validati sono l’intolleranza al lattosio e l’intolleranza al glutine (malattia celiaca, che più che intolleranza è una malattia autoimmune dell’intestino) e il favismo: per la prima il test più utilizzato è il breath test, mentre per l’intolleranza al glutine si esegue un test sierologico specifico unito ad un esame istologico (biopsia duodenale). Considerata la vastità degli argomenti, nei prossimi articoli approfondiremo entrambe le intolleranze e i relativi test diagnostici. La diagnosi del favismo, invece, è basata sulla misurazione dell’attività dell’enzima glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PD) nei globuli rossi.

Accanto a questi test scientificamente validati, ve ne sono altri senza alcun fondamento scientifico e che tuttavia sono molto diffusi; di seguito ve ne sono elencati alcuni tra i più noti, in modo da poter riconoscerli ed evitare spese inutili:

  • test basati sulla ricerca IgG o IgG4 allergene-specifiche: aumenti della concentrazione ematica di IgG o IgG4 contro alimenti o componenti alimentari sono comuni e clinicamente irrilevanti, pertanto il test è inaffidabile (costo medio € 150,00).
  • Test del DNA per le intolleranze alimentari: le perplessità sulla validità di questo test derivano dal tipo di tecnica adottata dall’azienda e dai dati ottenuti che forniscono solo indicazioni probabilistiche facilmente equivocabili e quindi non attendibili (costo medio € 150,00).
  • Test citotossico: uno dei maggiori limiti che presenta questo test è la sua non riproducibilità ovvero l’impossibilità di ottenere lo stesso risultato ripetendolo più volte. Ricordiamo che la riproducibilità di un test è alla base della sua validità (costo medio € 200,00).
  • Analisi del capello, iridologia, kinesiologia e test di bio-risonanza (VEGA ed EAV): non esiste nessun fondamento scientifico a supporto della validità di tali test (costo medio € 120,00).

In sintesi, a fronte del costo non irrisorio e della loro inutilità, in caso di comparsa di sintomi gastrointestinali ricorrenti, sarebbe doveroso evitare di affidare la propria salute a questi test apparentemente rivestiti da un’aura scientifica e piuttosto rivolgersi sempre ad un Gastroenterologo.

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